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07/04/2014 12.41.47 - Articolo letto 2826 volte

"DA MATERA I DUE FILM CHE HANNO SCOSSO IL CINEMA CRISTOLOGICO"

Albano Carrisi a Matera nella Chiesa di Sant´Agnese - 28 febbraio 2014 (foto SassiLand) Albano Carrisi a Matera nella Chiesa di Sant´Agnese - 28 febbraio 2014 (foto SassiLand)
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Nota di Don Basilio Gavazzeni
Matera "Mentre Hollywood passa alla nostra televisione un altro kolossal biblico culminante in un altro Cristo, interpretato dal portoghese Diogo Morgado, ricorrono il cinquantesimo anniversario del pasoliniano Il Vangelo secondo Matteo (1964) e, insieme, il decimo anniversario del gibsoniano The Passion of the Christ (2004), ambedue girati in gran parte a Matera, altera Bethlehem e altera Jerusalem. Bisogna riconoscere che la scia del possente rompighiaccio di Gibson è tornata utile alla riscoperta del film di Pasolini che, per i cinefili, è il meglio del genere cristologico, ma non è mai stato apprezzato come è giusto da Sa Majesté le Public. Con il talentoso predecessore Gibson ha il merito di aver divulgato con tale larghezza  la grazia fatta paesaggio cristologico, naturalmente cinematografico di Matera da propiziarle una fama planetaria e un concorso sempre crescente di visitatori.
Chiedo ai lettori di tollerare senza pretese questo disordinato e incompleto parallelismo fra i due registi e i loro film che spiccano come pietre miliari del cinema cristologico.
All’inizio sia per Pasolini sia per Gibson vi sono una illuminazione e un intenso confronto con la persona di Gesù Cristo. Da ciò scaturisce per ambedue l’impulso missionario (sic!) di tradurne agli altri la vita e il messaggio che li ha ustionati nel profondo. Sono uomini della decima arte, chi li può trattenere? Si mettono alla ricerca dei luoghi e dell’umanità più idonei a ricreare le stagioni del profeta di Nazareth. Pasolini arriva a Matera per primo: una lezione indimenticabile. Come pensare che Gibson dall’occhio rapace non lo pedini? Stessa location preponderante: Matera e dintorni. Stesso soggetto: nel film del primo la vita di Gesù, da Maria che ne è incinta alla Risurrezione; in quello dell’altro le ultime dodici ore del Martire. Comune ai due la necessità di rivoluzionare il cinema cristologico divenuto ripetitivo e stucchevole. Il film di Pasolini resta anche un documento di antropologia culturale, poiché ci serba facce e tipi umani ormai estinti dopo tante omologazioni. Gibson presenta facce soverchiate dall’ostensione filologicamente accurata dei costumi. In ambedue c’è un sommo rispetto per i testi sacri. Pasolini li adottò quasi come una “sceneggiatura di ferro”; Gibson, ossessionato dal bisogno di veridicità, fa addirittura esprimere gli attori in aramaico e in latino, piegandosi ai sottotitoli. Il Gesù di Pier Paolo Pasolini è soprattutto il predicatore in polemica contro i poteri e le ipocrisie del tempo. Lo impersona Enrique Irazoqui, poco più che adolescente: un Cristo irto, corrusco, alacre, non senza qualche dolcezza e qualche taumaturgia. Umano e, insieme, divino. La fronte alta, gli occhi sotto vaste arcate sopracciliari, ombreggiate da “ali di corvo” alla Frida Kahlo si potrebbe dire in questi giorni. Jim Caviezel è il Cristo di Mel Gibson: solenne, forte, resistente, anche lui tutto sguardo, dalle fattezze sindoniche, dalla splendida maturità che deflagra con un pulvinio di sangue nella turpissima flagellazione romana. Pasolini, non-credente, grazie a un contorsionismo interiore impossibile a chiunque altro, gira il film da credente. Lo dedica alla cara lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII il cui inaspettato cristianesimo l’ha conquiso. Gibson, credente un po’ troppo agonistico, si rifà al testo di Isaia sul Servo di YHWH. Incarna uno strenuo intento testimoniale: la “verità” della perfetta sofferenza vicaria di Cristo, quello scandalo in-finito, non deve affondare nell’oblio né essere censurata.
Alla madre di Cristo è riservato un ruolo importante sia da Pier Paolo Pasolini sia da Mel Gibson. Nel Vangelo secondo Matteo il ruolo è interpretato prima da una silente e ineffabile Margherita Caruso, poi dall’anziana madre del regista, Susanna, una Mater dolorosa memore delle figurazioni e del teatro popolari. Per farla entrare nella parte, sembra che Pasolini le riproponesse le lettere del figlio Guido, partigiano ucciso dagli scherani di Tito. Maia Morgenstern impersona la Madonna di Mel Gibson, adeguatamente più giovane (in quell’anno 30 d.C. la Madre non aveva ancora cinquant’anni!) di quella pasoliniana, figlia di Sion, discepola pronta alla sequela estrema, datrice del corpo sacrificato, raccoglitrice del preziosissimo Sangue, vigile madre del bambino Gesù,  sposa nella ferialità della bottega nazaretana, Madre Coraggio e,  infine, Mater Ecclesiae. Gibson riprende da Pasolini il dettaglio dell’inchiodamento di una mano del Cristo: come per recitare il mea culpa, volle calare lui stesso, quella prima e devastante martellata. Entrambi dedicano poco tempo alla Risurrezione: un paio di minuti per l’evento, potente e segreto, riservato solo a Cristo, nel film di Gibson; Pasolini, invece, trascorre dalle bende e dal sudario candidi abbandonati nella tomba al tripudio en plein air delle donne e dei discepoli stupefatti cui si associa la plebe accorrente dai campi con gli arnesi in pugno. Citazioni figurative sono evidenti nell’uno e nell’altro film. Il citazionismo di Pasolini è quello di un intellettuale-testimone poliedrico e onnivoro. Cita i maestri del cinema, i maestri della pittura Piero della Francesca, Masaccio e Duccio di Buoninsegna. Gibson ricorre anche a Caravaggio e a Mantegna, e, non ignora Holbein e soprattutto Grünewald e i Cristi della pietà popolare. La musica elaborata da John Debney per The Passion non può sostenere il confronto con quelle di Bach, Mozart, Prokofiev e Weber convocate nel Vangelo secondo Matteo. Tutta da ammirare e ponderare la qualità e l’efficacia diverse del film in bianco e nero e di quello a colori, tutti da misurare i ritmi, i rallentamenti e le accelerazioni di entrambi. Si ricordi: quello di Pasolini dura 137 minuti, quello di Gibson 126. Non mette conto qui rilevare le cadute e le inconsistenze dell’uno e dell’altro, l’eccesso di verbosità nelle parte centrale del primo e l’iperrealismo del secondo. Alla fine vale la sostanza. Entrambi hanno ben lavorato per la causa del cinema e di Cristo, e, insieme, hanno reso celebri la città di Matera e il suo paesaggio.
I due film sono separati da uno iato di quarant’anni: l’evoluzione del linguaggio, delle macchine e dei costi della cinematografia è stata travolgente. Pasolini ha contato su mezzi poveri, Gibson non ha lesinato sulle strumentazioni e sugli effetti speciali. Cristo, segno di contraddizione, ha attirato nella sua cifra drammatica sia Pasolini sia Gibson. Polemiche asperrime li hanno circondati da ogni parte. Ciononostante il film di Pasolini ha ricevuto plausi e premi dalla critica cattolica più autorevole, mentre Gibson ha mietuto un successo perseguito con tenacia, immenso e indiscutibile. A film conchiuso, Pasolini confessava nella poesia Alba meridionale: “Il film l’ho già girato  –  e con Cristo”. Di Mel Gibson ricordo la dichiarazione, fatta proprio a me, in casa mia: “Anch’io sarei disposto a morire per Cristo.” Quella mattina, dopo una fervida discussione, ci eravamo dimenticati che già un certo Pietro aveva dichiarato avventatamente la stessa cosa.
 
Basilio Gavazzeni"



Sassiland News - Editore e Direttore responsabile: Gianni Cellura
Testata registrata presso il Tribunale di Matera n.6 del 30/09/2008




 
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