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02/07/2013 20.04.52 - Articolo letto 3459 volte

Messa Festa della Bruna 2013, l'Omelia di Ligorio

Festa della Bruna 2013 (foto Eustachio Santarsia) Festa della Bruna 2013 (foto Eustachio Santarsia)
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All'inizio della celebrazione, l'Arcivescovo ha espresso solidarietà per i dipendenti Natuzzi
Matera All’inizio della celebrazione l’Arcivescovo ha espresso solidarietà per gli oltre 1700 dipendenti della Natuzzi che sono stati messi in cassa integrazione, di cui 600 materani. Questo fatto getta un’ombra sui festeggiamenti e interpella tutti, anche le autorità secondo il loro grado di responsabilità, a sentirsi solidali e fare la loro parte perché queste famiglie non si sentano sole e abbandonate in questo momento di prova. Oltre ai saluti all’Arcivescovo Mons. Scandiffio, all’abate emerito Padre Tiribilli che ricorda 52 anni della sua ordinazione sacerdotale, al Vicario generale della Diocesi, ai sacerdoti, alle autorità civili e militari, al Comitato, ai Cavalieri e a tutto il popolo santo di Dio, si è reso vicino a tutte le persone che soffrono e non possono prendere parte alla festa: i degenti nell’ospedale di Matera, gli anziani della Residenza assistita “Mons. Brancaccio, i carcerati.
All’inizio dell’omelia il pensiero va ancora a quanti sono stati colpiti dal provvedimento di cassa integrazione e della conseguente perdita del lavoro, che rendono un po’ mesta la festa. (L’arcivescovo ha poi proseguito) Leggendo attentamente la narrazione evangelica della Visita di Maria a santa Elisabetta notiamo come la presenza di Maria genera gioia profonda in chi la incontra. E quanto bisogno di gioia c’è oggi. Il primo a gioire è Giovanni Battista, il futuro precursore, che sussulta nel grembo della madre. Elisabetta,
ricolma di Spirito Santo, professa Maria: “la Madre del mio Signore”. Come vorrei che ognuno potesse riconoscere in Maria “la madre del Signore”. Maria vive l’esperienza di intima gioia ed esulta proclamando nel magnificat: “il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”. Qual è il motivo di questo evento di grazia? Maria, Arca della nuova Alleanza, portava in sé il Verbo fatto carne. Come è stato reso possibile questo evento di grazia? Elisabetta lo svela dicendo di Maria: “Beata Colei che ha creduto nell’adempimento delle parole dl Signore”. E’ stata la fede di Maria che ha reso possibile l’incarnazione del Verbo. I Padri della Chiesa amavano ripetere: “Maria ha concepito il Verbo prima nella sua mente e poi nel suo grembo”. In che cosa consiste la beatitudine di Maria? Ella consegna tutta se stessa a Dio: “Avvenga di me quello che hai detto” dice Maria all’Angelo (Lc, 1,38). Maria vive l’obbedienza della fede che rende possibile l’adempimento della parola di Dio: “concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Maria mediante la stessa fede che la rese beata è presente nella missione della Chiesa, è presente dentro di noi. Anche noi siamo chiamati a portare Gesù dentro le case degli uomini, perché la sua presenza sia sorgente di vera gioia, per tutti.
Quali sono le condizioni richieste per questa missione? “Maria si mise in viaggio verso la montagna per raggiungere in fretta una città di Giuda”. Entrò nella casa di Elisabetta. Anche noi dobbiamo entrare nella dimora dell’uomo. Come ci ricorda Papa Francesco: dobbiamo consumare la suola delle scarpe, nell’andare incontro ai fratelli.
La dimora dell’uomo è il suo lavoro. Ritorno ancora qui col pensiero a quanti lo hanno perso, per esprimere vicinanza e solidarietà, il lavoro infatti è fonte di dignità.
La dimora dell’uomo sono i suoi affetti; la famiglia, così fragile oggi; il suo quotidiano soffrire: gli ammalati in ospedale, gli anziani della casa Brancaccio, come vorrei che li considerassimo nostri familiari, i carcerati che anelano alla libertà.
Non restiamo chiusi in noi stessi, nell’individualismo. E’ ben poca cosa a confronto del duro mestiere di vivere di tanti nostri fratelli.
Maria ha portato la gioia della presenza perché ha portato il Verbo fatto carne.
Auguro che ciascuno di noi porti in sé, con la sua personalità ricca di valori, con il suo pensiero forte in una società liquida, con i suoi affetti costanti e non labili, nel ricevere da Cristo una forma vivendi, la gioia intima. Con San Paolo auguro che ognuno possa dire: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) ed essere così sacramento vivente del suo amore.
Concludo con la preghiera di San Francesco: “Rapisca, ti prego, Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose, perché io muoia per amor tuo, come tu moristi per amor dell’amor mio”.



Sassiland News - Editore e Direttore responsabile: Gianni Cellura
Testata registrata presso il Tribunale di Matera n.6 del 30/09/2008




 
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