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01/12/2011 16.07.37 - Articolo letto 4515 volte

Una nuova proposta di gestione dei rifiuti

Pesci morti a San Basilio Pesci morti a San Basilio
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Un documento programmatico per un’altra politica
Basilicata Lo scorso 23 Ottobre è stato un giorno che probabilmente ha segnato il corso politico e civile di questa nostra amata terra chiamata Basilicata. Movimenti, associazioni e liberi cittadini si sono ritrovati a Matera, dopo un percorso avviato da tempo, per discutere un piano di gestione dei rifiuti regionale e rimodulare un nuovo modello di politica. L’incontro ha affrontato la questione ambiente-salute evidenziando la necessità di staccarsi da una strategia politica regionale rivolta in questi anni più all' “affare” che a far sviluppare un'imprenditorialità attenta al consumo del territorio e in grado di produrre posti di lavoro (come accade oggi in altri luoghi del sud e del nord).  Vari e fondamentali sono stati poi gli accenni e le rivendicazioni,
negli ambiti del lavoro, dello sviluppo, del welfare lucano. Quello che è iniziato come un laboratorio di informazione e approfondimento sulla questione rifiuti in Basilicata, si è trasformato nella volontà d'instaurare un rapporto di coesione e compattezza al fine di trovare soluzioni e avviare strategie volte a proporre un sistema di gestione dei rifiuti compatibile con la popolazione. L'obiettivo è quindi condividere una visione della Basilicata dove “sviluppo di impresa”, “lavoro” e “sostenibilità” non sono concetti distanti
tra loro, come fin'ora ci hanno fatto credere per l'affarismo di pochi, ma possono, attraverso una programmazione attenta delle infrastrutture e la creazione d'una rete con l'imprenditorialità e gli enti, generare un circuito virtuoso che crei occupazione senza violentare la nostra terra.


A dare seguito a questo incontro sono stati gli appuntamenti che si sono tenuti a Marconia e in ultimo il 12 novembre 2011 a Pisticci, dove chiare sono state le intenzioni di costituire un coordinamento regionale e dar vita a un manifesto per sollecitare una partecipazione condivisa e soprattutto la discussione d'un modello altro di sviluppo della Basilicata. Coordinamento che si è strutturato in gruppi di competenze, diviso in Comunicazione, Legislazione e Tecnico, ai quali afferiscono più persone che lavorando in sinergia hanno l’intenzione di produrre un nuovo piano di gestione dei rifiuti. Tante le attività che sono state inserite nel crono programma del coordinamento, tutte tra l’altro incentrate a divulgare quanto più possibile i drammi che questa terra sta registrando per via di una politica scellerata, oltre che affaristica,della gestione dell’ambiente. Non ultimo, anzi di fondamentale importanza è stata da parte dell’assemblea del 12 novembre a Pisticci quella di licenziare simbolicamente la classe dirigente lucana per non aver saputo dimostrare, in questo ventennio di governo di centro sinistra né tanto meno di attività di opposizione, una visione globale e lungimirante di sviluppo, dimostrando piuttosto oscuri sistemi corrotti a discapito d'una popolazione sempre assoggettata al ricatto lavorativo. Pertanto se da un lato il coordinamento attiverà un tavolo di trasparenza e di condivisone delle azioni da svolgere per contribuire alla risoluzione della gestione dei rifiuti, dall’altro lato, la già condivisa visione di un attuale sistema partitico-politico consegnatario di un presente lucano devastante nella negatività, definisce un’azione di conflitto che non si calmerà fino ad un cambio radicale dell’attuale sistema Regione.


PER UN BASILICATA SENZA RIFIUTI E VELENI:
un documento programmatico per un’altra politica

 
E’ impossibile tratteggiare le linee chiave dell'attuale situazione politico/economica della Basilicata senza tenere conto del ruolo che essa occupa nella “divisione nazionale del lavoro”, del sistema clientelare e delle dinamiche di gestione del potere, tipiche della peggiore etica politica della “prima repubblica”.
L’acuirsi ed estendersi degli effetti della cosiddetta crisi finanziaria globale accentua e sottopone a dura prova tale gestione del potere e tali comportamenti, rendendoli non più sopportabili e mettendo in risalto inediti livelli di contraddizione tra le concrete esigenze sociali diffuse sull’intero territorio e la sostanziale coazione a perseverare in un governo della cosa pubblica autoreferenziale ed eccessivamente legato a interessi economici troppo lontani dalle reali esigenze dei cittadini e del territorio e troppo vicini agli interessi delle lobbies economiche pienamente inserite nel tessuto politico della Regione.
Le modalità con cui sono stati affrontati negli ultimi anni i temi più sostanziali della vita della regione (vedi ad esempio questione energia, petrolio, acqua, dissesto idrogeologico, vertenze operaie), sono state espressione di una cultura politica autoreferenziale, per lo più frutto dell’enorme capacità di pressione e di espropriazione esercitata da multinazionali e lobbies di ogni risma, che ha di fatto finito per escludere i fondamenti dell'azione democratica, così favorendo la crescita a dismisura di una frattura incolmabile con la vita e con i bisogni reali del territorio.
La “questione rifiuti” rappresenta (oltre che sul piano economico e sociale, anche sul piano simbolico) la più evidente conseguenza di tali modalità, che hanno preventivamente espunto dalla discussione politica gli interlocutori principali (cittadini ed associazioni locali), esaltando l’autoreferenzialità dirigista nel concepire ed imporre dall’alto norme contraddittorie, opacità (se si preferisce scarsa trasparenza) a piene mani, ambiguità, impianti di trattamento di rifiuti “speciali” (v. Tecnoparco di Pisticci, istituita ed autorizzata con legge regionale); piani provinciali di gestione dei rifiuti apparsi da subito obsoleti e palesemente finalizzati alla soluzione inceneritoria.
Combattere la logica della filiera che dalla gestione dei RSU porta alle tecnologie per l’incenerimento (al netto delle quote di raccolta per prodotti/materia specifici imposte ai comuni dai CONAI) vuol dire certo partire dalla chiusura di Fenice, ma vuol dire anzitutto essere operativamente coscienti della necessità di costruire ed attuare la strategia “Combustione Zero e Rifiuti Zero” quale originale e partecipata ricerca di soluzioni pratiche rivisitabili e costantemente perfezionabili, che non può prescindere dagli specifici adattamenti locali.
Si tratta cioè di mettere in piedi, dopo la campagna referendaria dello scorso Giugno per Acqua Pubblica e No Nuke, la più forte ed inedita campagna per la democrazia partecipata che la regione abbia mai conosciuto, sapendo legare i bisogni e l’azione dei produttori ortofrutticoli, degli allevatori, con l’azione dei cittadini e dei lavoratori addetti alla prevenzione del dissesto idrogeologico (pacciamatura,  rimboschimento, ri/fertilizzazione dei terreni salinizzati ed impoveriti con uso del compost organico da raccolta e trattamento dell’umido); sapendo saldare l’inchiesta sulla produzione intensiva di rifiuti (fabbriche, grandi centri commerciali) con l’iniziativa dei comuni consorziati e di inoccupati e disoccupati, da collocare nella filiera della riparazione, del riuso, del riciclo, del recupero di materia prima/seconda, tramite l’istituzione di impianti di selezione e trattamento a freddo.
La proposta “Combustione 0 Rifiuti 0” gode infatti della biunivoca e felice valenza di concretezza operativa da tempo sperimentata a livello internazionale e di forte carica propositiva e progettuale, che facendo giustizia dei triti e reazionari luoghi comuni che stigmatizzavano in chiave negativa ed esclusivamente oppositiva l’iniziativa ambientalista, consente viceversa di proporsi quale incarnazione di una prassi sociale praticabile “qui ed ora”, capace di consolidarsi come terreno di sfida avanzata contro le miserie tecnologiche dei “giocattoli” della filiera che ingrassano pochi e costano molto, lasciando strategicamente ineludibili punti di rigidità
Questo sarebbe l’inizio di un percorso vitale e indispensabile di innovazione che, adeguando il sistema socio-economico alla vocazione naturale della nostra Terra, inaugurerebbe un ciclo virtuoso dal punto di vista ambientale, economico, sociale e antropologico (abbiamo anche una storia millenaria da difendere): un ciclo virtuoso che sia capace di mettere a frutto le nostre risorse e non di lasciarle sfruttare da lobbies esclusivamente interessate ai propri vantaggi economici.
Proponiamo e lottiamo per una nuova visione politica, economica e sociale della Basilicata; per un nuovo modello di governo che anteponga la salvaguardia della salute dei cittadini e del territorio, un adeguato stile di vita ed un’equa e produttiva distribuzione della ricchezza, alle convenienze puramente economiche della macchina amministrativa e agli interessi esclusivi delle lobbies economico-politiche.
La vicenda dell’inceneritore Fenice di S. Nicola di Melfi, paradigma e cuore della filiera Rifiuti/FIAT/Petrolio, ci racconta molto della “tecnica” operativa con cui la classe politica dirigente lucana, senza soluzione di continuità negli ultimi venti anni, continua a violentare i territori amministrati in ottemperanza ai ricatti ed ai desiderata dei grandi gruppi monopolistici.
Un aspetto strategico da tenere ben presente alla luce dell’annunziato decalogo lacrime e sangue dei provvedimenti di “risanamento economico” del bipartisan governo di “salvezza nazionale” di Monti consiste nell’ulteriore perdita di autonomia di manovra da parte della classe politica locale, schiacciata come sappiamo da un lato dai tagli progressivi dei trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali (che a loro volta si vedono costretti ad imporre nuovi tagli e nuove imposte per tentare di garantire il minimo vitale dei servizi essenzialie a privatizzare entro Marzo i servizi pubblici essenziali nonostante i referendum di Giugno, dall’altro dalla rideterminazione di sfavorevoli rapporti Nord/Sud, che nella Legge delega n° 42 del maggio 2009 (c.d. federalismo fiscale) e nell’espropriazione dei Fondi FAS per mano dell’ultimo governo Berlusconi trovano i loro principali capisaldi.
Opere infrastrutturali previste e programmate non hanno così potuto avere seguito, al pari di opere di bonifica di intere aree industriali inquinate e per lo più dismesse.
In queste ore giunge all’epilogo - ampiamente annunziato e previsto, d’altronde - l’operetta in tre tempi del “filosofo” Marchionne. Referendum sul “modello Pomigliano” di deroga al contratto nazionale ed allo Statuto dei Lavoratori; plateale fuoriuscita da Confindustria; annunzio della disdetta di tutti i contratti siglati in Fiat, con implicita esclusione della Fiom dai tavoli contrattuali ad iniziare dal prossimo  Gennaio 2012. In prospettiva, anche la Sata di Melfi potrebbe fare la fine di Termini Imerese, se non ritenuta compatibile con le esigenze della Chrysler.
E’ l’incubo del licenziamento di massa per almeno 5.000 lavoratori, ma è anche il terrore per l’attuale presidenza della giunta regionale, che ha sempre preferito l’afasia alla stessa Costituzione, quando si è trattato di dover sbattere i pugni sul tavolo per i piani di ristrutturazione, le condizioni di lavoro, i licenziamenti politici, in una fabbrica sostanzialmente deterritorializzata. Le “nostre” istituzioni regionali hanno sempre preferito interrompere il rapporto di tutela e di cittadinanza sulla soglia della fabbrica, piuttosto che accennare ad un “torto” potenziale a Marchionne.
La Sata di Melfi, anzi, nasce allevando nel suo seno le vipere delle deroghe (salariali, di organizzazione, del modello “prato verde”), iniziando dalla più odiosa: l’abolizione del diritto per le donne a non effettuare i turni di notte.
Tutto ciò che gli operai della Sata e dell’indotto hanno potuto recuperare e conquistare, lo hanno fatto da soli, lottando con le unghie e con i denti, con l’appoggio e con la solidarietà attiva di altri operai e di quanti sono stati attori del ciclo virtuoso: No Scorie a Scanzano, No elettrodotto a Rapolla, “Primavera di Melfi” (i 21 giorni) a cavallo tra Novembre 2003 e Aprile 2004.
La considerazione delle prese di posizione da parte delle rispettive organizzazioni sindacali “rappresentative”, delle loro contorsioni, in relazione dialettica con le modalità di gestione delle vertenze Fiat/Sata da parte della compagine amministrativa regionale, oltre a rappresentare in sé una valida cartina al tornasole, dovrebbe costituire uno specifico e stabile asse di lavoro costante strutturato ed organizzato per un coordinamento regionale dei movimenti attualmente allo stato nascente.
Il combinato disposto costituito dal c.d. “collegato lavoro”, dal prospettato “statuto dei lavori” (a sostituzione dello Statuto dei Lavoratori); le “raccomandazioni” di Trichet/Draghi (lettera BCE del 4 Agosto 2011); la “letteraccia” di fine Ottobre di Berlusconi alla UE; l’accordo Cgil/Cisl/Uil/Confindustria dello scorso 28 Giugno (recepito a Settembre); l’annuncio programmatico del neoinsediato governo Monti di riassetto complessivo dello Stato Sociale ed estensione del diritto di licenziamento in deroga all’art. 18, non può non essere al centro dell’attenzione, dell’ intervento, dell’organizzazione, di un coordinamento di associazioni e singoli dell’intero territorio lucano, per riorientare, tramite forme di inchiesta attiva, campagne informative, proposte, l’aggregazione sociale, la consulenza, la mobilitazione,  l’enorme area sociale di lavoratori precari e non, gli inoccupati, i disoccupati, intorno ad un progetto di riappropriazione dei diritti fondato sul valore d’uso e sull’imposizione di un fondo specifico a garanzia del reddito universale di cittadinanza per prevenire impoverimento ed esodo.
Lo stesso vale per quanto riguarda la lotta al dissesto idrogeologico e la prevenzione, tramite piani di riforestazione mirata, riconvertendo in funzione direttamente produttiva, anche nella forma di filiera selezionata di qualità, la produzione boschiva biologicamente compatibile e di qualità.
Si tratta al proposito di definire un assetto programmatico di base per la bonifica a monte e a valle dei corsi e dei bacini idrici, non solo tenendo ben presente la priorità della potabilizzazione, ma valorizzandone la funzione strategica di qualità all’interno della filiera di produzione e riproduzione ortofrutticola (bonifica, gestione acqua pubblica, produttori, punti vendita diretti dal produttore al consumatore, GAS km zero), partendo da punti di eccellenza come l’area del metapontino, puntando alla creazione di un “forum” con cariche elettive ed a rotazione dei circa 5.000 produttori locali in sostituzione dei Consorzi di Bonifica.
Consorzi di Bonifica che ad oggi risultano essere un chiaro esempio dell’immobilismo della classe politica Regionale, che a distanza di tre anni non si è ancora adeguata alla disposizione legislativa nazionale e non ha predisposto alcun atto necessario alla funzionalità degli attuali Consorzi che sono prorogati negli organi elettivi da molti anni, nonostante in materia di contenimento dei ‘costi della politica’ la Legge 24 Dicembre 2007, n.244 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge Finanziaria 2008’, al comma 2 dell’articolo 35 prevedeva una riduzione del numero dei Consorzi ed una diversa composizione degli organi, riducendone i rispettivi componenti.
Va aperta altresì una seria discussione per “istruire la pratica” della maturazione di una proposta unificante sul tema delle trivellazioni, vista la coesistenza, anche all’interno stesso di movimenti ed associazioni, di analisi e soluzioni diverse, a volte pienamente contrastanti, oscillanti dal blocco totale delle estrazioni, alle moratorie temporanee, all’incremento delle royalties in funzione di riequilibrio dei tagli al welfare e di redistribuzione equa regionale di opportunità di eventuali e non precisate occasioni d’investimento.
Idem per quanto concerne il “che fare?” per il deposito delle scorie radioattive (sito unico? Sito- o siti- di superficie? Altro?), perché nonostante la schiacciante vittoria (per adesso) referendaria contro il nucleare e nonostante la memorabile battaglia di Scanzano, continuiamo a subire la politica della finta trasparenza.
Dobbiamo far valere il diritto a monitoraggi ambientali ed alla pubblicazione sistematica dei dati rilevati anche all’interno dell’ITREC; a non accontentarci dei dati che fornisce la Sogin; così come abbiamo il diritto-dovere di conoscere le reali intenzioni che stanno dietro al suo ampliamento e ad opporci ad esse.
 Abbiamo il diritto a non convivere con l’incubo di un’imminente riproposizione del sito unico di scorie o di un “nuovo imbroglio” che ne trasferisca in Trisaia una massiccia quantità di nascosto.
Abbiamo la necessità di prendere coscienza che non possiamo all’infinito ridurre il tema alla sola richiesta di smantellamento del deposito ITREC /ENEA di Rotondella, ma dovremmo assumere proprio il patrimonio di lotte e di consapevolezza acquisite per elaborare nel merito un utile contributo su scala internazionale, nella prospettiva di una fuoriuscita definitiva dalla follia dell’avventura nucleare, alla luce anche di quanto sta accadendo in queste ore a Saluggia, con i lavori di costruzione del più grande deposito di scorie nucleari.
Lo stesso vale per le Acque Minerali, in materia di canoni di concessione per il prelievo e l’imbottigliamento delle acque regna ancora il caos, nonostante le indicazioni del “Documento di indirizzo delle Regioni italiane in materia di acque minerali naturali e di sorgente” approvato il 16 novembre 2006 dalla Conferenza delle Regioni. Il documento nasceva dal fatto che il canone corrisposto alle Regioni è stato sempre ampiamente insufficiente a ricoprire anche solo le spese sostenute per la gestione amministrativa o per le attività di sorveglianza delle aree, senza considerare quelle per lo smaltimento delle numerose bottiglie in plastica derivanti dal consumo di acque minerali che sfuggono alle raccolte differenziate.
Le tariffe e le modalità per definire il canone continuano ad essere assolutamente irrisori se paragonati al grosso volume di affari legato all’acqua in bottiglia.
La richiesta è tesa ad ottenere maggiori benefici economici per le popolazioni locali soggette a processi di sfruttamento delle risorse naturali, con conseguente depauperamento del territorio Lucano. L’ipotesi consiste nel richiedere l’aumento dei proventi derivanti da tali attività o la cessazione di quelle attività che non hanno ricaduta positiva sul territorio.
Situazione altrettanto complessa è quella riguardante la legislazione in merito a Cave e Miniere. A fronte di numeri impressionanti, i canoni di concessione pagati da chi cava risultano a dir poco scandalosi. In media infatti, nelle regioni italiane si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti. Ancora più assurda è la situazione delle regione Basilicata dove si cava quasi gratis.
Se si considera il peso che le Ecomafie hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo delle aree di cava nel Mezzogiorno, emerge, in tutta la sua evidenza, la gravità della situazione in Basilicata praticamente priva di regole.
Quali sono le ragioni di questa situazione assurda?
La prima, la più sorprendente, è che la normativa nazionale di riferimentoin materia è ancora oggi un Regio Decreto del 1927. A dettare le regole per l’attività estrattiva dovrebbe essere oggi la Regione, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977. Ma la Regione sembra guardare con disinteresse al settore, mentre le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto al volume d’affari del settore.
Per uscire dalla crisi economica occorrono investimenti, ma occorre anche promuovere riforme che spingano all’innovazione nei settori.Con oneri di concessione per l’attività estrattiva così bassi, la Basilicata continuerà a essere devastata dalle cave. Senza considerare che si rinuncia a promuovere un settore innovativo come quello del recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia che può integrare quelli di cava- come sta avvenendo in molti Paesi europei - e che consente di avere molti più occupati (per una cava da 100mila metri cubi l’anno gli addetti in media sono 9 mentre per un impianto di riciclaggio di inerti gli occupati sono più di 12) e di risparmiare le cattive ripercussioni sul  paesaggio.
Del resto, non si riesce a capire per quale ragione un’attività che opera in regime di concessione debba continuare a stare in una situazione di privilegio rispetto a tutte le altre che (spesso con minore impatto) pagano.
Per questo proponiamo l’adozione di un Piano Cave e Miniere, oltre all’introduzione di una tariffa unica regionale che stabilisca il prezzo di vendita minimo a mc. del materiale concesso in sfruttamento con beneficio diretto da attribuire alle popolazioni ricadenti nei territori interessati, con obbligo di ripristino e compensazione ambientale.
La richiesta di dimissioni dell’attuale compagine governativa regionale e provinciale, alla luce di quanto su rappresentato,  non può essere confusa con una mera richiesta di cambio di ceto politico (che oltre a non essere di alcuna garanzia di reale cambiamento, sarebbe piuttosto un segnale contraddittorio di delega in bianco, tutt’al più, di discontinuità nella continuità), ma va intesa come determinazione e matura volontà politica di dar seguito ad una sfiducia concreta, operativa, che per molti aspetti, nelle inchieste della magistratura, negli inganni distorsivi, nelle lotte, è già nei fatti, non solo di questi ultimi mesi. . Il fatto stesso di ritrovare una comunanza d’intenti fra movimenti, associazioni e privati cittadini dà la misura non solo di una condanna di un sistema saldamente ancorato a modelli partitico/clientelari, ma dell’esigenza, in questa profonda crisi del modello democratico locale, nazionale ed occidentale, di divenire laboratorio per nuove forme di una politica democratica partecipata.
La classe politica dirigente lucana è stata costantemente sfiduciata negli ultimi anni in ogni territorio dove si è determinato un conflitto legato alle questioni ambientali (ricordiamo il caso della centrale di Pisticci, di quella del Mercure, il caso della pubblicazione dei dati riguardanti l’analisi delle acque dell’invaso della diga della Camastra, etc.), ma è stata anche sfiduciata dai parametri negativi che essa stessa ha contribuito a produrre (vedi il tasso di disoccupazione, generale,femminile, giovanile, i tassi da record di lavoro nero, lo spopolamento dei centri abitati, la subordinazione ai diktat del MIUR per favorire un sistema integrato di apprendistato in azienda e di istruzione e formazione sempre più orientati alla privatizzazione di stampo clientelare; i criteri di razionalizzazione ed accorpamento degli istituti scolastici).
Evidente, inoltre, è la sfiducia che emerge dalle stesse realtà comunali, nelle quali ad esempio un importante Comune della Val Basento come Pisticci (ed altri si apprestano a farlo), chiede l'intervento di un Istituto indipendente per le analisi ambientali perché non si fida più dell'ARPAB, quindi di un'altra istituzione regionale. La Val Basento è il fulcro di molte vicende che anche simbolicamente esprimono in maniera chiara ed inequivocabile l'accumulo di scelte politiche sbagliate che hanno nei fatti determinato  sfiducia e conseguente richiesta generalizzata di dimissioni della classe politica dirigente regionale.

Ancora oggi i Comuni della Val Basento si ritrovano umiliati e schiacciati dall'impotenza dovuta ai continui rinvii della necessaria bonifica di un'area industriale che ha prodotto e continua a produrre gravi patologie e decessi nella popolazione di questa fetta di territorio, analogamente a quanto rischia di prospettarsi nell'area del Vulture col caso Fenice, nei prossimi anni. Perseverare diabolicamente significa riattivare Fenice con un tecnicismo determinato soprattutto con la grave complicità politica di chi non è intervenuto e non interviene tutt'ora (la Regione non si costituisce Parte Civile contro chi ha commesso gravi reati contro la collettività ...). La classe politica dirigente regionale preferisce piuttosto abdicare alle proprie funzioni a favore di tecnicismi, magari supportati da cambi di ceto politico ed alternanze di correnti di partito nel governo regionale (misera opzione che non porterà nemmeno al “greenwashing” tentato in questi giorni attraverso l'alternanza negli alti ranghi dei palazzi di via Anzio).
 A questo risponderemo con una serie di mobilitazioni e di azioni, fra le quali la denuncia e la costituzione di parte civile in processi verso i responsabili delle sempre più numerose morti per tumore della nostra terra, consci del fatto che in Basilicata non c'è, semplicemente, una "questione ambientale" (e di conseguenza sociale), bensì una mera questione di potere, che ha stuprato tutto e tutti fin negli interstizi più angusti della vita delle persone.
Sfiduciare e dimissionare un’intera classe dirigente vuol dire insomma saper rideterminare i rapporti di forza attraverso la condivisione, l’articolazione, l’attuazione, di una piattaforma politica complessiva aperta, condivisa, dinamica e sempre aggiornabile, costruita dal basso, che chiami alla mobilitazione ed alla partecipazione convinta ed appassionata tutti e tutte coloro (siamo la maggioranza) che continuano a ritenere indispensabile la difesa dei Beni Comuni, dall’acqua al lavoro, dalla giustizia all'equità sociale, forti di una nuova visione del futuro della Basilicata.
 
I firmatari: Associazione Allelamie, Associazione  Culturale Sacco e Vanzetti, Associazione Italiana Esposti Amianto VBA (AIEA VBA), Associazione Lykeios, Associazione M.Mancino - Palazzo S.Gervasio, Associazione per la Sinistra/Rete@sinistra, Associazione Sisma Barile, Associazione Karakteria, Brio, Citta’ Plurale, Cobas, Comunità Lucana “No Oil”, Coordinamento Acqua Pubblica Basilicata, EPHA, Forum Ambientalista, GVS, GAS Matera, L’alternativa Ferrandina, Lista dei Cittadini Pisticci, Movimento Politico contro l’Indifferenza “Sui-generiS”, Movimento 5 stelle Basilicata, Ola, Potenzattiva, Respira la Terra, Unione Nazionale Consumatori  di Pisticci,  WWF Potenza
 
 
 
 



Sassiland News - Editore e Direttore responsabile: Gianni Cellura
Testata registrata presso il Tribunale di Matera n.6 del 30/09/2008




 
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