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IN NOME DEGLI ANGELI RIBELLI

Attivo da sabato 2 agosto 2008 a martedì 30 settembre 2008
IN NOME DEGLI ANGELI RIBELLI IN NOME DEGLI ANGELI RIBELLI
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MOSTRA DI SILVIO CRAIA DEDICATA A OSVALDO LICINI
Bernalda Quante volte ho scritto e detto che l'artista e' come lo sciamano. Perche' sa mettersi in contatto con energie che appartengono a dimensioni altre, poste al di fuori di quella logica che noi - stupidi e presuntuosi razionali - crediamo sia la qualità mi­gliore degli uomini. Ma quando mai! Quanti freni, quante limitazioni essa por­ta con se': questa cosa non e' logica, ti fa dire, quindi non e' possibile, non esiste. Poveri esseri razionali che non conoscono (o sarebbe piu' giusto dire -non conosciamo-?) l'ebbrezza che danno la fantasia, il paradosso, la follia, tutto cio' che porta via, su verso l'alto, lontano dalle strettoie della logica.
UN PROFILO DI OSVALDO LICINI
Quante volte ho scritto e detto che l’artista è come lo sciamano. Perché sa mettersi in contatto con energie che appartengono a dimensioni altre, poste al di fuori di quella logica che noi – stupidi e presuntuosi razionali – crediamo sia la qualità migliore degli uomini. Ma quando mai! Quanti freni, quante limitazioni essa porta con sé: questa cosa non è logica, ti fa dire, quindi non è possibile, non esiste. Poveri esseri razionali che non conoscono (o sarebbe più giusto dire “non conosciamo”?) l’ebbrezza che danno la fantasia, il paradosso, la follia, tutto ciò che porta via, su verso l’alto, lontano dalle strettoie della logica.
Silvio Craia è un personaggio paradossale, perché è creativo, perché è a-logico, perché è folle (nel senso che le civiltà arcaiche e classiche davano alla parola: folle era colui che era stato toccato, folgorato, dagli dei). Dunque Craia è uno sciamano. Così ha voluto compiere un’azione che allo sciamanesimo si riporta: quella non di vivere, ma di rivivere, esperienze, emozioni, sentimenti, di un’altra persona che oggi non c’è più e che, artista anch’essa, era pure uno sciamano. Uno sciamano del cielo, il re del¬le Amalassunte (lune), degli angeli ribelli, degli olandesi volanti, l’errante, l’erotico, l’eretico; ma anche uno scia¬mano del delicato e struggente leopardiano paesaggio delle Marche.

Stiamo parlando di Osvaldo Licini, uno dei più grani artisti mondiali del XX secolo, l’inventore (assieme allo spagnolo Joan Mirò, sia pure con altri intenti e con altre modalità) del segno autosignificante che si fa alta poesia. Un Leopardi visivo, per intenderci. Ebbene Craia ha deciso di trascorrere quindici giorni immerso nei luoghi fisici, in quelli visivi, ma anche in quelli mentali e sentimentali del grande Licini. Nel suo paese natale, Monte Vidon Corrado, nella sua casa, nella piazzetta che attraversava, nei vicoli in cui transitava, Craia ha respirato la stessa aria che respirava il Maestro e, soprattutto, ha come captato le energie misteriose che sono rimaste impregnate nelle sue tracce materiali: tutto ciò è stato possibile perché le personalità che si sono così poste in sintonia erano (anzi, sono) due artisti, due coscienze libere, due poeti del segno, due cantori della ribellione dell’anima. Praticamente è come s’egli avesse agito da ponte sul quale far transitare la natura poetica dell’invenzione liciniana per trasmetterla agli astanti: scolari, popolazione civile, artisti, intellettuali. Un’esperienza straordinariamente efficace che ha toccato i cuori e risvegliato le fantasie di coloro che vi hanno preso parte.
Craia era – come me – molto amico di un altro importante pittore marchigiano scomparso: Sante Monachesi. Anch’egli estroso, paradossale, border-line si direbbe oggi in quest’epoca in cui se non ti esprimi con qualche parola in inglese ti considerano un illetterato (e magari conosci il latino e il greco antico, ma vuoi mettere l’inglese!). Ebbene Monachesi, più di mezzo secolo fa, annunciò di voler fare causa al Comune di Roma che lo aveva sfrattato da un palazzo patrizio (di proprietà pubblica) nel quale aveva allestito il suo atelier: nelle stesse stanze in cui aveva lavorato, nel Seicento, il Ca¬valier d’Arpino, al secolo Giuseppe Cesari, maestro del Caravaggio. “Mandarmi via da questi luoghi mi rovinerà la carriera”, sosteneva Monachesi, “perché qui sono ispirato dall’anima dell’antico pittore”.
Al di là della trovata pubblicitaria (così tutti la considerarono) chissà se, in fondo, il buon vecchio Sante una qualche ragione non la avesse. Anch’egli era uno sciamano; anch’egli, come Craia, era un neo-dadaista; anch’egli, come Craia e Licini, era un poeta del segno e del colore immediati ed anche dell’azione.
Durante l’esaltante esperienza di Monte Vidon Corrado, Silvio Craia ha realizzato opere che, in quanto a spirito, sono intensamente liciniane: nei suoi rapidi segni colorati vergati da gesti altrettanto veloci, c’è la sintesi massima delle amalasunte, degli olandesi volanti e degli angeli ribelli. Ribelli come le anime di questi magici cantori delle bellezze paesaggistiche mar¬chigiane che attraverso i versi (Leopardi) o i segni-colore (Licini, Craia) salgono ad altezze vertiginose, verso dimensioni cosmiche.




 
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